CASTELNUOVO SCRIVIA

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Arte

Sulla piazza principale sorge la Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, imponente costruzione romanica del XII secolo, restaurata nel secolo XVI e a fine '800.
Della pieve originaria si ha testimonianza nei documenti solo a partire dal 1184, ma le attività del cantiere possono essere circoscritte tra il 1165 e il 1183. A testimonianza di questo antico luogo di culto rimangono nella porzione est della attuale chiesa i pilastri occidentali del quadrato d’incrocio fra corpo longitudinale e transetto, l’absidiola che conclude la navata minore meridionale e parte del muro della facciata sud del transetto, dietro l’organo, decorata da un fregio di archetti pensili a pieno centro. Sulla facciata si conserva il portale originario, datato 1183 e firmato da magister Albertus, autore anche di altri tre capitelli ora collocati e sistemati nelle prime tre cappelle meridionali. Forse sono addirittura di epoca precedente (Giovanni Romano li data intorno al 1135) i capitelli corinzi addossati ai pilastri del transetto nella zona dell’organo, il capitello definito di san Giorgio e la testa diabolica che fa da mensola alla nicchia occupata dalla statua della Addolorata.
La basilica, le cui dimensioni coincidevano con le tre navate interne della attuale parrocchiale, sorgeva quindi di fronte al coevo palazzo comunale, sul lato orientale di un’antica necropoli (rinvenuta nel 1991) divenuta così la piazza, ossia il nuovo fulcro del centro cittadino.
Nel XIII secolo la chiesa era dotata di chiostro e nel 1480 venne edificata la “cappella lunga” dedicata al Corpus Domini.
Nella seconda metà del XVI secolo si procedette alla ristrutturazione e all’ampliamento dell’edificio sacro. Nel 1618, a conclusione dei lavori, papa Paolo V concesse l’erezione a Collegiata, con un prevosto e sei canonici.
La parrocchiale si presenta a cinque navate, quelle esterne si configurano come cappelle laterali per la presenza di altari, di un pavimento rialzato e per le balaustre o le cancellate che dividono questi vani dal corpo longitudinale a tre navate.
La zona presbiteriale si chiude con un coro e un’abside semicircolare.
Le navate minori sono coperte con volte a crociera, mentre la navata centrale con volta a botte, impostata su arcate longitudinali sorrette da colonne di granito.
La facciata, di cui rimane memoria in una antica foto scattata nel 1878, non fu mai definitivamente completata. L’edificio fu sottoposto a campagne di restauro nel XIX e XX secolo. Risalgono all’inizio dell’Ottocento il rifacimento del campanile e al 1896 la realizzazione della attuale facciata. Sono degli inizi del Novecento la decorazione della volta e delle pareti oltre al rifacimento della pavimentazione.
In questi ultimi anni, a partire dal 1983 e con intensificazione dal 1993 in poi, è stato svolto un imponente intervento di consolidamento e di ripristino di tutte le strutture, affiancato ad una campagna pressoché totale di restauro delle strutture minori e di tutte le opere d’arte.
Tra i manufatti artistici, conservati nella chiesa di “San Pietro e Paolo”, è d’obbligo segnalare anzitutto il portale con lunetta e capitelli, eseguito dal magister Albertus all'epoca di Federico Barbarossa, come attesta la scritta latina che la attornia (Nell'anno 1183, al tempo dell'impe­ratore Federico, su progetto di Ottone Bal..., io maestro Alberto terminai quest'opera).
All’interno della lunetta magister Albertus scolpì una delle scene più diffuse della iconografia romanica, ossia “Sansone che smascella il leone”, qui però abbinato all’episodio di Davide che salva il gregge assalito dal leone. Sansone, cioè Cristo, è il salvatore dell’anima (la pecora) ghermita dal leone che diventa personificazione del demonio. I capitelli di sinistra riproducono una serie di grifoni, mentre quelli di destra ricordano scene di vita nelle stagioni, quali, ad esempio, la mietitura, la caccia con il falcone, una donna che raccoglie fiori, ecc. I leoni stilofori e le colonne in marmo rosa di Verona sono una aggiunta del 1896.
Magister Albertus firma anche uno dei tre capitelli ritrovati nel 1996, sul quale l’artista scolpì quattro grifoni e accompagnò la sua firma al saluto che l’angelo rivolse a Maria, quando le annunciò la nascita di Cristo (Ave Maria Gratia Plena Dominus Tecum).
Nell'interno un grande dipin­to su tavole di Alessandro Berri (1540), illustrante "L'Ultima cena", fa da pala d’altare alla cappella del Santissimo Sacramento. L’artista riprende un tema iconografico diffuso nel XVI secolo e ripropone per le figure degli apostoli una veduta speculare del cenacolo leonardesco. Di particolare interesse è la natura morta costituita dalla tavola imbandita.
Al momento dello smontaggio delle tavole, per il restauro effettuato dai Nicola di Aramengo nel 1983, venne rinvenuta la predella con cinque scene ricavate dalla Piccola Passione del Dürer.
Nella stessa cappella, tra le molte opere restaurate negli anni Novanta, appaiono alcuni pezzi pregevoli: un crocifisso ligneo; una tavola, datata 31 maggio 1564, raffigurante San Michele caccia il demonio; un Battesimo di santo Stefano trafugato dalla chiesa della Madonna delle grazie nel 1991, poi recuperato, restaurato e collocato sulla parete meridionale della “cappella lunga”.
Sulla controfacciata, all’inizio della navata meridionale, appare un affresco del XV secolo, rappresentante la Madonna della Misericordia, attribuibile a Quirico Boxilio da Tortona. Nelle 14 cappelle laterali vi sono tele di Galeazzo Pellegrino (San Carlo), Tirsi Capitini, Geronimo Borghi, Pietro Grassi e Cristoforo Mina.
Pregevoli anche la tela con L’Annunciazione (ante 1635), il Crocifisso d’altare di Anton Maria Maragliano, la statua lignea L’Immacolata, la cinquecentesca Croce processionale in rame dorato, i mobili della sacrestia, la raccolta di paramenti datati  XVI-XVIII secolo, la tribuna dell’organo risalente al 1612.
Il ricco archivio è stato riordinato di recente da Dimitri Brunetti. Attualmente sono in corso i restauri delle volte affrescate all’inizio del Novecento. Gli interventi previsti per il futuro riguardano l’intera pavimentazione e l’antico organo.
 
Di fronte alla chiesa si eleva il PALAZZO PRETORIO (castello dei Torriani e Bandello) col bel porticato ogivale, bifore e arengo. Al piano superiore alcune sale con affreschi dei secoli XV e XVI. Il castello è dominato da una torre merlata, alta 39 metri, le cui strutture originarie sono antichissime. All'interno è situata la Biblioteca "Pier Angelo Soldini", animatrice della vita culturale castelnovese.
La pianta, le strutture e i paramenti murari evidenziano le forme di un castrum duecentesco ricostruito su resti di una struttura precedente che potrebbe anche risalire all’epoca dei Goti di Teodorico. I muri sono composti da ciottoli di torrente, pietre rettangolari e laterizi regolarmente allineati, in abbondante letto di malta, secondo corsi di altezza diversa.
Nella parete est si aprono, a 8 metri di altezza, tre saettiere a bocca di lupo, una sola visibile dall’esterno, le altre due inglobate nella struttura quattrocentesca. Queste monofore a feritoia, collocate a uguale distanza una dall’altra, danno all’edificio l’aspetto di una costruzione d’uso difensivo, ma che non può essere ritenuta esclusivamente tale per la presenza sia di ampie aperture, sia di vasti saloni; elementi questi che rimandano ad una architettura civile di funzione pubblica.
Nel XII secolo doveva essere un blocco unitario, diviso, -in altezza- in tre piani equivalenti, concluso superiormente, oltre le falde del tetto, da merli guelfi, ancora visibili in corrispondenza della parte bassa della torre.
L’edificio tardo romanico mutò il suo aspetto con l’erezione della torre sino alla quota di 23 metri, successivamente innalzata sino a 39 metri.
L’originaria facciata prospiciente la piazza era destinata in origine a rimanere priva di intonaco, vista l’accurata realizzazione, la cromia del paramento murario e la perfetta alternanza di pietra e cotto. Il castello venne ampliato verso la piazza intorno al 1470 (loggiato aperto al piano terreno e ampio salone luminoso al primo piano) e la vecchia facciata, inglobata nella “sala dell’arengo”, era già stata interessata da due campagne pittoriche di cui rimangono splendidi esempi nel sottotetto (con ingresso dalla prima rampa della torre) e sulla parete ovest della “sala dell’arengo”.
Del primo intervento pittorico sono ancora visibili alcuni stemmi con imprese viscontee e dei conti di Pavia, stemmi di Castelnuovo, finti fondali di stoffa, tracce di un antichissimo orologio meccanico a 24 ore e un Sant’Ambrogio. Sulla base degli stemmi e delle iniziali dei duchi milanesi si può datare questa prima campagna al 1402-1412
La facciata fu nuovamente decorata pochi decenni dopo e di questa fase rimane soprattutto un San Pietro, dipinto su un fondo rosso-turchino. Raffronti con dipinti di area alessandrina e lombarda inducono ad ipotizzare una datazione intorno al 1450, corrispondente all’avvio dell’attività di Manfredino Boxilio
Nella seconda metà del Quattrocento furono decorate le altre tre pareti del nuovo salone e rifatta la decorazione al salone centrale, della quale rimangono pochi spazi integri, ma di grande bellezza.
Appartiene ad una quarta campagna pittorica, all’inizio del XVI secolo, l’affresco raffigurante la Madonna in trono con Bambino e angeli. Doveva essere un affresco prezioso, dal momento che sul manto della Vergine sono ancora visibili i segni del punzone con cui era stata realizzata una decorazione a rosette a lamina d’oro.
La “sala dell’arengo” fu infine decorata nel 1557 da Alessandro Berri, pittore castelnovese. Vi eseguì un fregio a grottesche e lo stemma della casa D’Avalos.
Diversi furono gli interventi di rifacimento e di restauro dall’Ottocento ai giorni nostri. In particolare i restauri sugli affreschi nelle campagne del 1934 (Pintor), 1986 (Nicola), 1996 (Rava) e le ristrutturazioni del 1931-1936, 1986-1988, 1996-2000.
 
Tra gli edifici sacri va citata anche la monumentale CHIESA DI SANT'IGNAZIO, edificata all’inizio del XVII secolo, con attiguo impo­nente collegio.
Si era sempre pensato che fosse il feudatario di Castelnuovo, il marchese Giovanni Gerolamo Marini, zio della famosa “monaca di Monza”, durante la lunga infermità che lo condusse alla morte, il fondatore del Collegio dei Gesuiti. In realtà il merito fu del giureconsulto Giovanni Ferrari che donò una rendita di ben 7000 lire (a fronte delle 1800 del Marini) per l’edificazione del Collegio. Inoltre il Ferrari donò anche la sua eccezionale biblioteca costituita da migliaia di volumi, fra i quali centinaia di “cinquecentine” portate via da Castelnuovo alla fine del XVIII secolo per creare il fondo iniziale della costituenda biblioteca di Tortona.
La chiesa venne costruita dai fratelli Melchioni di Voghera, su progetto di Antonio Maria Corbetta che sarà per un breve periodo anche architetto del Duomo di Milano.
Problemi statici fecero sì che la cupola venisse edificata un secolo dopo, nel 1725, grazie alle generose donazioni di Antonio Moro e di Antonio Maria Torti.
Nel 1773 l’ordine dei Gesuiti venne sciolto dal papa e l’edificio rimase, sino alle guerre napoleoniche, in gestione ai cistercensi.
Il Collegio divenne ospedale militare dopo la battaglia di Marengo e Napoleone, con decreto del 2 Piovoso anno XII (23 gennaio 1804), assegnò al Comune la proprietà di chiesa e collegio.
Dopo un cinquantennio di semiabbandono, per iniziativa del castelnovese Pietro Bertetti, padre generale dei Rosminiani, si aprì un convitto per i giovani, ma l’ostilità del sindaco interruppe l’iniziativa e cominciarono a subentrare maestri secolari.
La chiesa rimase a lungo inutilizzata, ma durante l’ultima guerra venne utilizzata dai tedeschi come officina per la riparazione dei motori dei carri armati. Vi rimasero per alcuni mesi le truppe brasiliane e poi, nel periodo 1953-1956 venne restaurata e la chiesa ritornò al culto.
In questo ultimo ventennio sono state rifatte completamente facciata, serramenti, tetto, cupola e campanile e restaurati gli interni e tutte le opere d’arte.
L’edificio attuale, di cui sono stati ritrovati i disegni progettuali alla Biblioteca Nazionale di Parigi, costituisce un esempio prestigioso di architettura barocca piemontese. È a una sola navata, come fosse una magnifica sala, atta a far sentire l’unità dei fedeli davanti all’altare. Sulle pareti laterali si aprono due cappelle più larghe che profonde, tendenti verso una pianta centrale coperta dalla cupola. La facciata è classica nei suoi elementi: a due piani sormontata da un frontone, rientrante fra due avancorpi che formano uno spazio simile a un vestibolo.
Nel luminoso interno sono conservate (il che può parere incredibile viste le tumultuose vicende di questa chiesa) pregevoli opere di intaglio su legno, quadri e ÈStatua">statue.
Iniziando da sinistra vanno citati:
- Una “Natività” di scuola lombarda del secondo quarto del 1700 (Cesare Ligari?), sovrastante una nicchia in cui viene conservato il "Cristo deposto", una scultura lignea del 1400 a grandezza naturale, ricavata da un unico blocco di legno di rosa di Rodi;
- Le tavolette di una “Via crucis” seicentesca proveniente dalla chiesa di San Damiano;
- L’altare di “San Luigi” con tela;
- “Santa Filomena”, piccola tela di Tirsi Capitini (1826);
- “L’incredulità di San Tommaso” di Carlo Urbino (1500-1550);
- Sul coro tre grandi tele illustranti momenti della “Vita di Sant’Ignazio”;
- “San Gerolamo”, tela seicentesca di stile caravaggesco;
- Trecentesca statua lignea "Santa Caterina d'Alessandria" sulla quale si ipotizza la mano del senese Mariano d'Agnolo, attivo ad Avignone;
- "Cristo fra Santi", quattrocentesco dipinto su tavola, attribuito da Mauro Natale a Gabriel da Castronovo;
- Ritratto di “Sant’Ignazio” (va ricordato che la chiesa castelnovese fu la prima in Italia ad essere dedicata a Ignazio di Loyola dopo la sua santificazione);
- “Il Cristo risorto”, dipinto su tavola nel 1981 da Michele Mainoli e concesso in deposito dalla famiglia Mainoli nel 1999;
- Altare di “San Francesco Saverio” con tela;
- “Sogno di San Giuseppe”, tela attribuita a Cesare Ligari;
- Teca con reliquari (la croce delle cento reliquie, Sant’Onorato, Santa Vittoria) e vari oggetti sacri in oro e argento;
- Pulpito ligneo della parrocchiale, qui trasferito nel 1999;
- “Deposizione” collocata sopra la bussola di ingresso.
Nella sacrestia, caratterizzata da stupendi e imponenti armadi, si possono ammirare due belle tele, una “Assunta” del Moncalvo e una “Fuga in Egitto”. Di minore importanza due tele di Tirsi Capitini e una tela con “Madonna fra San Giacomo e San Carlo” proveniente dalla chiesetta dell’ex-asilo “Regina Elena”.
 
Sulla via Garibaldi si ammira l'imponente PALAZZO CENTURIONE, bell'esempio di architettura genovese del secolo XVII, ora sede del Municipio, con elegante porticato a crociera.
Il palazzo fu fatto edificare dai feudatari di Castelnuovo, i marchesi Marini, che avevano dovuto lasciare alla comunità la struttura del castello. Siamo intorno al 1570-1580 e l’edificio “è di struttura e disegno dell’architetto Pelegrino”, forse Pellegrino Tibaldi (1527-1596), pittore e architetto di gran fama.
Con la morte di Giovanna Marini (1778) il feudo passa al figlio Carlo Centurione Scotto. I tre stemmi che appaiono sotto il porticato ricordano questi passaggi di proprietà: i Marini sopra l’ingresso allo scalone ufficiale (Expecta Dominum, viriliter age - Rispetta il Signore, ma agisci con decisione), gli Spinola -strettamente imparentati con i Marini- sopra la porta del Museo (Potius mori quam foedari - Piuttosto morire che venire a patti), i Centurione sopra l’accesso al salone (Centuplum germinabit).
I successivi Centurione, Gio. Battista, Giulio e Vittorio Emanuele, procedono a migliorie del palazzo e gli danno quella impronta architettonica ligure che lo caratterizza. In particolare molti sono gli interventi fatti in abbinamento con la villa Durazzo di Santa Margherita, anch’essa di proprietà dei Centurione. In origine il palazzo, denominato nell’Ottocento villa Centurione, occupava un’area assai più ampia di quella attuale poiché comprendeva anche le case dei lavoranti, la chiesa dell’Annunziata, le scuderie e il vasto giardino fitto di sentieri, di aiuole fiorite, di alberi secolari e delle stazioni della Via crucis.
Fra il 1910 e il 1920 viene affidato l’incarico di restaurare e completare le decorazioni delle volte a Giovanni Franceschetti che poi diverrà famoso per le “palazzate”, ossia per le decorazioni sulle facciate dei palazzi che si affacciano sui golfi di Portofino, di Santa Margherita e di Paraggi.
L’ultimo dei Centurione, Giulio, amante dell’ozio, dello sfarzo e del gioco, sposò Camilla Groppallo, donna di polso e di carattere, che però non seppe arginare l’insensata dissipazione dei beni da parte del consorte. Pian piano tutto fu venduto e il 29 luglio 1926 venne firmato l’atto di cessione del palazzo al Comune per 300.000 lire. Purtroppo il Comune non aveva le possibilità di acquistare tutto in blocco e il Centurione smembrò in lotti giardini e altri edifici e soprattutto disperse,  vendendoli un po’ dappertutto, gli arredi, i quadri, gli arazzi, i mobili antichi, i lampadari, le statue, le cineserie.
Ora il palazzo ospita gli uffici comunali, l’archivio storico, alcuni locali per le associazioni, un bar e il Museo.
Il Museo civico venne costituito ufficialmente nel 1986 nelle quattro stanze del pianterreno rimaste integre, esattamente come quelle soprastanti del sindaco, della sala di attesa e della stanza della Protezione civile. Stanze luminose, con volte e pareti dipinte da Giovanni Franceschetti e con pavimenti a mosaico genovese o in piastrelle di ardesia.
Alla fine degli anni Settanta vennero messi a disposizione questi locali con l’intento di crearvi un luogo di incontro culturale, una biblioteca e un deposito in cui rifugiare quanto era disperso nelle varie chiesette abbandonate e ripetutamente saccheggiate dai ladri. Così iniziò la raccolta, o meglio, la messa in sicurezza di quadri, statue, lapidi, tele, ex-voto, mobili antichi, oggetti di oreficeria sacra, opere particolari donate da privati. Ora il Museo conserva al suo interno una gamma assai ampia di  oggetti che vanno dai reperti archeologici dell'età della pietra sino a lavori in ferro battuto del secolo scorso.
 
Nell'abitato si notano resti di case medioevali, torrette e facciate orna­te con decorazioni di cotto Di grande interesse sono le CASE QUATTROCENTESCHE di via Fornasari, di via Marguati, di via Mazzini, di via Bersani, di via Ludovico Costa, di via Francesco Monza. Sulla piazza Vittorio Veneto si eleva la CASA NATALE di MATTEO MARIA BANDELLO. Notevole il soffitto quattrocentesco con tavolette dipinte a stemmi, ritratti, animali, composizioni floreali (restaurato nel corso del 2003 a spese dei proprietari) della CASA FERRARI – ALFANO all’angolo fra via Carlo Alberto e via Lamarmora, contraddistinta da due splendide finestre gotiche sulla facciata verso la piazza delle Rimembranze.
A ricordo del novelliere, al bivio di Sale e Guazzora, sorge il CIPPO BANDELLO raffigurante un cervello stilizzato, in blocchi di granito, che recita su una lastra marmorea un passo dedi­cato a Castelnuovo (La terra nostra di Castelnuovo è posta non molto lontano da le radici de l’Appennino, a la foce ove Schirmia scarca le sue per l’ordinario limpidissime acque in Po .......”
All'imbocco della strada per Molino dei Torti sorge un grande ARCO SEICENTESCO, una delle cinque porte (Zibide, Molina, Strad'Alzano, Gualdonazzo e Tavernelle) che consentivano il passaggio attraverso la cinta muraria.
Alcuni punti da segnalare per una eventuale passeggiata per il paese sono LA CASA NATALE dello scrittore Pier Angelo Soldini (1910-1974) in via Garibaldi, accanto all’Istituto Don Orione; la struttura monumentale ottocentesca dell’OPERA PIA BALDUZZI con i bellissimi colonnati verso la piazza e la via Ludovico Costa; il MONUMENTO AI CADUTI ora dedicato anche alla “madre di tutti i caduti in guerra”; il PONTE IN COTTO che, costruito fra il 1864 e il 1868,  con le sue 13 arcate consente un agevole passaggio al di là dello Scrivia.
La SCUOLA MEDIA in via don Orione, nel cortile interno, presenta una esposizione dicarri agricoli restaurati e ben conservati; una raccolta di macine da gualdo, da olio di noci, da vino e da grano; un ciclo di murales illustranti le attività agricole mese per mese; un altro ciclo di murales dedicati ai vari periodi storici di Castelnuovo o riproducenti le fattezze di una trentina di personaggi castelnovesi.
Molte le edicole votive ancora visibili lungo le strade interne e le cappellette disseminate per la campagna, spesso accanto a cascine assai antiche, quali, ad esempio, Cavigiola, Ova, Maretta, Cappuccini-Piccagallo, Torrione, Bovera.
 
Tutte le CHIESETTE sono state recuperate con una intensa e appassionata campagna di restauri durata una ventina d’anni.
Tra queste chiese “minori” la più importante è decisamente la Chiesa di San Rocco. Il primo documento che accenna alla chiesa di San Rocco risale al 1576. In occasione della visita apostolica di mons. Ragazzoni, l’edificio sacro, esistente già da tempo, venne trovato in buone condizioni. Esisteva già un gruppo di laici aggregato all’Arciconfraternita della Santissima Trinità, avente il diritto di indossare la cappa rossa. La messa veniva celebrata quattro giorni alla settimana da “li frati zocolanti”. L’oratorio inizialmente era dedicato anche a San Sebastiano. Nel 1792, dopo la soppressione di tutte le confraternite castelnovesi, in feroce rivalità fra loro, l’unica confraternita autorizzata, quella dedicata a San Desiderio, ebbe come sede la chiesa di San Rocco. La Confraternita di San Desiderio, o dei batü,  è attiva tuttora.
La chiesa venne chiusa nel 1960 e rimase tale sino al 1983, quando la rinnovata Confraternita riprese ad operare. Da allora è stato restaurato tutto l’interno, sistemato il pavimento, facciata e fiancate, rifatto ben due volte il tetto a capriate e a botte, creato un attivissimo e funzionale “Centro di incontro per anziani”, ripristinati tutti i serramenti e soprattutto restaurato il 70% delle tantissime opere d’arte, ovviamente ora protette da un valido impianto d’allarme.
La particolare ricchezza di opere d’arte è dovuta al fatto che gran parte degli arredi delle chiese soppresse in epoca napoleonica finirono qui, quali gli arredi della chiesa della Pace, dei Servi di Maria, di San Francesco, della Misericordia, dei Cappuccini, ecc.
In particolare vanno citati:
- LUNETTA LIGNEA DELLA FACCIATA, risalente al 1792, simbolo della Confraternita.
- Sulla controfacciata un bel gruppo ligneo costituisce il “COMPIANTO” ai piedi di un grande crocifisso;
- Statua di “Sant’Antonio abate” proveniente dalla soppressa chiesa di Sant’Antonio, sede della Confraternita del Ss. Crocifisso;
- Tela raffigurante “LA NASCITA DI MARIA” alla quale si rivolgevano un tempo le partorienti;
- Seicentesca statua lignea raffigurante la Madonna Addolorata. Tiene fra le mani un nastrino che, secondo la tradizione, va legato attorno al capo per togliere il mal di testa
- Al centro del coro, dietro l’altare, una grande tela raffigura la “Beata Vergine incoronata dalla Santa Trinità e adorata da San Carlo e San Rocco”. Sullo sfondo appare una veduta di Castelnuovo con le mura lambite dallo Scrivia;
- Nel coro vi sono altre tele (San Lorenzo da Brindisi, Sant’Agostino, San Bernardo da Chiaravalle), una delle quali, “SANT’ANTONIO ABATE e PAOLO L’EREMITA”, recentemente restaurata, ha rivelato particolari stupendi e la data 1584:
Sul lato sud, accanto alle statue del Cristo deposto, della Madonna e di San Rocco, appare una grande tela, proveniente dalla chiesa dei Serviti “I SETTE FONDATORI DELL’ORDINE DEI SERVI DI MARIA”, dipinta con colori vegetali;
Su tutta la parete absidale, dietro i quadri, sono visibili AFFRESCHI CINQUECENTESCHI, coevi a quello emerso sotto la lunetta lignea della facciata o al San Filippo dietro la balconata del coro. Si tratta di cinque episodi della vita di San Rocco alla cui base è inserita una scritta illustrativa
Un’altra decina di tele sono sparse per la chiesa o accatastate nella sacrestia, tutte di notevole pregio;
 
Chiesa della Madonna delle grazie. Alla fine del XVII secolo un soldato spagnolo gravemente ferito implorò la Madonna dipinta su di un muretto collocato all’inizio della strada per Casei, a poca distanza dalla roggia Calvenza e all’inizio della strada dei prati. Il soldato si salvò e la devozione, già viva da tempo, per la Madonna della cappelletta crebbe al punto che nel 1699 iniziò la costruzione del santuario dedicato alla Beata Vergine delle grazie, il cui altare ingloba l’antico muretto. Nel 1737 Elisabetta Dader e Pinol, moglie di Benedetto Abadan, fece eseguire intorno all’immagine sacra una STUPENDA PALA ricchissima di intagli, di statuette e di ori.
Ben presto il santuario divenne meta di pellegrinaggi e le pareti vennero ricoperte da centinaia di ex-voto. Sia ai tempi della grande emigrazione in Argentina che in occasione delle guerre, i giovani castelnovesi si riunivano con i loro cari al santuario per implorare la protezione della Vergine. Le alluvioni del Grue e della Calvenza e soprattutto i ripetuti saccheggi da parte dei ladri nel periodo 1970-1991 hanno inferto duri colpi alla chiesetta.
Per antica consuetudine la chiesa è officiata con solennità il due agosto. In tale occasione vengono celebrate messe per i pellegrini dall’alba al tramonto.
Delle centinaia di ex voto sono rimaste una cinquantina di opere, parte nel Museo civico e parte nel santuario. Queste tavolette, sia esse di cartone, di compensato o di tela, vanno viste come importante strumento di comunicazione poiché narrano le vicende di una persona, di una famiglia, della comunità. Attraverso una espressività molto semplice e realistica, riescono ad esprimere sinteticamente storie drammatiche che coinvolgono un fedele e un santo o la Madonna stessa.
Purtroppo la chiesa è quasi completamente spoglia, a parte le statue che raffigurano i quattro evangelisti. È però documentato fotograficamente tutto il patrimonio artistico trafugato o distrutto, sia di questa chiesa che di tutti gli edifici di un certo rilievo situati nel territorio di Castelnuovo.
Fra il 1980 e il 1995 la chiesa è stata completamente restaurata.
 
Chiesa di San Damiano. Fuori porta Gualdonazzo, lungo la strada vecchia che conduceva a Casei e a Voghera, sorge su un piccolo dosso la chiesa campestre dedicata ai santi Cosma e Damiano. La sua origine è antichissima e si suppone che sorga sui resti di un tempietto pagano. La zona circostante è ricchissima di reperti archeologici e qui, a cavallo fra XIX e XX secolo, emersero con abbondanza embrici, mattoni sesquipedali, vasetti, frammenti corposi di mosaico, intonaci colorati, anfore. La settimana di scavi organizzata dalla Soprintendenza archeologica del Piemonte, nel settembre 1983, tutt’attorno alla chiesetta ha rilevato, sino a metri 3,50 di profondità, la presenza fitta di tombe e di materiale antico, trasferito poi a Torino.
Questa chiesetta sicuramente esisteva già nel 1183, come attesta un documento pubblicato da Ezio Barbieri ed Ettore Cau (in la strada prope Sancti Damianu).
La chiesa rimase in stato di abbandono dal 1970 e in poco tempo divenne un rudere; ma nel 1993 all’appello “Salviamo San Damiano” rispose un gruppo di cittadini che si costituì in Comitato e nel giro di quattro anni provvide al restauro globale della chiesa. La mole di lavoro fu notevole se si pensa anche al ricupero della casetta annessa trasformata in un portico aperto a tutti i visitatori, con tanto di pozzo, di acqua corrente, di tavolo e di sedili; al rifacimento totale del sagrato e della scalinata in ciotoli; all’inserimento visibile nelle murature di reperti archeologici; all’evidenziamento di strutture antiche;  alla creazione di una area verde tutt’attorno; all’inserimento di un monumento dedicato alla antica coltivazione del gualdo ripristinando due macine di questa importantissima erba tintoria; all’abbellimento del campanile tramite una meridiana e della facciata con un affresco realizzato dal pittore Giovanni Bonardi.
I lavori si conclusero nel 2000 ricreando un tratto della antica strada acciottolata che risaliva la rampa di San Damiano e inserendovi al centro, in una cassetta ben sigillata, una pergamena con il nome di tutti i componenti del Comitato, alcune monete e il libro, interamente dedicato alla chiesetta, appena uscito dalla tipografia.
L’edificio, a parte alcuni frammenti di un affresco quattrocentesco e vari reperti archeologici, per ovvi motivi non contiene opere d’arte.
Il poco che era stato salvato si trova ora nel Museo civico: la tela di “Sant’Uberto”, la tela “L’adorazione dei pastori”, sei ex-voto -di inizio Seicento- su tavolette di legno, la tela “Nascita della Vergine”, i pregevoli BUSTI IN LEGNO ARGENTATO di Cosma e Damiano risalenti alla seconda metà del Cinquecento. Le stazioni della”Via crucis” sono state collocate nella chiesa di Sant’Ignazio.
Nella chiesetta campestre vengono uffiziate una decina di messe all’anno, soprattutto in occasione di processioni, dell’8 settembre ricorrenza della nascita di Maria (e anche della festa delle vigne) e del 26 settembre ricorrenza di Cosma e Damiano.
La chiesa della Croce.  Si trova in corrispondenza della porta Zibide, all’incrocio fra la via Tortona e il viale IV novembre. La chiesetta dedicata alla Beata Vergine Addolorata, ma comunemente detta “della Croce”, venne edificata fra il 1837 e il 1844. Si sa con certezza quale sia l’origine della chiesa, basti leggere una delle varie suppliche inviate da Castelnuovo alla Curia di Tortona: “all’epoca in cui il torrente Scrivia, volgendo le acque contro il paese, ne portò via un quarto (a metà del XVIII secolo) esisteva sul muro dell’antica porta di Zibide una immagine della Addolorata, di San Desiderio e di Sant’Antonio abate e nel tempo di una forte alluvione, arrivate le acque al piede di esso muro, là si arrestarono. Un tale avvenimento dai fedeli venne reputato per un miracolo della Beata Vergine e suoi Santi che, facendo argine all’impeto e voracità delle acque, vollero preservare il restante paese ponendosi al medesmo come d’antemurale. Riconoscenti i fedeli abitanti di questo Borgo a sì segnalato benefizio, a certi determinati giorni si riunivano innanzi alle Sacre Immagini per cantare inni di lode e di preghiera”. Insomma l’affresco sacro protegge il paese dalle alluvioni meglio del Magispo e pertanto va conservato all’interno di una chiesetta.
Purtroppo la memoria e la riconoscenza non sono eterne e nel 1986 la chiesa era ormai a un soffio dalla fine, con il tetto in gran parte sfondato. Un Comitato raccolse i primi fondi ed ecco che nel 1990 la chiesa venne restituita al culto. Ora i lavori sono pressoché terminati, ma le migliorie non mancano. Ad esempio, nel giugno 2003 il pittore Giovanni Bonardi ha rifatto la decorazione dell’architrave e ridipinto sul timpano della facciata l’immagine dell’Addolorata sulla base delle testimonianze degli anziani e delle indicazioni della Soprintendenza.
E l’affresco della PIETA’ FRA SAN DESIDERIO E SANT’ANTONIO?. Nel 1992 era ridotto a pochi lacerti di polvere colorata, ma Guido Nicola da Aramengo riuscì a staccarlo dal muro e consolidarlo in una struttura mobile che è stata reinserita sul lato orientale della chiesa. Volutamente il dipinto non è stato rifatto o abbellito, ma quel poco che era giunto sino a noi ora è salvo e lo rimarrà  a lungo ( se non riaffioreranno indifferenza e trascuratezza).
All’interno è rimasto uno stupendo palliotto in stucchi colorati donato da Luigi De Angelis, mentre sono stati trasferiti nel Museo civico la tela “Apoteosi di San Giuseppe”, l’altra tela “Santa Teresa D’Avila”, alcuni ex voto e soprattutto quei tre splendidi crocifissi che danno nome e lustro a una sala del Museo.
 
La chiesa di San Carlo. L’oratorio “fuori dalla porta del Po o di strad’Alciano” è l’unica chiesetta castelnovese a non essere mai caduta in rovina grazie alla cura costante degli abitanti delle zone limitrofe.
Viene citato per la prima volta nella visita pastorale del mons. Settala nel 1670 e viene indicato con la duplice denominazione del Santissimo Crocifisso e San Carlo. La doppia intitolazione dipende probabilmente dal fatto che, secondo la tradizione, la chiesa fu costruita dove sorgeva una cappelletta su cui era affrescata una crocifissione con ai lati la Madre dolente e San Giovanni evangelista. Dinanzi a questa cappelletta sostò in preghiera Carlo Borromeo ed ecco quindi la decisione di costruire la chiesa. Nel 1978, onde prevenire i furti, tutti gli arredi sono stati depositati presso il Museo di Castelnuovo, fra i quali un tela raffigurante S. Carlo e un busto ligneo “Ecce homo”.  La festa della chiesetta cade il 4 novembre.
 
La chiesa di San Domenico. Essendo proprietà di privati vi sono stati ritardi nel restauro di questo oratorio; ma una volta effettuata la laboriosa donazione alla parrocchia, si è subito costituito un Comitato e nel 1998 sono iniziati i lavori, conclusi nel 2002 e corredati da una pubblicazione dedicata esclusivamente all’illustrazione delle vicende storiche e artistiche di questo edificio.
Venne fatta costruire nel 1714 dal parroco Rocco Berri e intitolata a “Santa Maria della Benedizione” sotto la protezione di San Domenico e di San Bovo. Incuneata fra la roggia di Scrivia e la strada dei Cappuccini, faceva da atrio alla porta Tavernelle, una delle due porte rivolte verso est, in direzione di Pontecurone e di Viguzzolo. Quando, fra il 1819 e il 1836, il cimitero venne trasferito nella attuale piazza della Libertà, “San Domenico” divenne chiesa cimiteriale.