La denominazione di Castelnuovo Scrivia, o meglio “ad Scripiam”, appare per la prima volta nel 1567 quando i D’Avalos, signori di Castelnuovo, vendono il feudo ai Marini. In precedenza, nei periodi di sottomissione a Tortona, il paese era indicato come “Castelnuovo di Terdona”, ma assai più frequentemente compariva con la dicitura di “Castelnovo” o di “Castro novo”.
Intorno all’origine vi è controversia, a seconda se per origine si intendono i primi insediamenti nel territorio o il sorgere di un centro fortificato. Nel primo caso è assodata la matrice romana del paese, soprattutto dopo gli scavi effettuati nel settembre 1983 dalla Soprintendenza ai beni archeologici nella zona di San Damiano e dopo i ritrovamenti del novembre 1991 nella piazza centrale e del 1996 in via Torino (1.800 a.C). Studiosi locali hanno ventilato un’affascinante ipotesi: sul territorio di Castelnuovo sorgeva l’antica Iria, di cui scrivono gli storici romani ponendola a nord di Derthona e sulle rive dello Scrivia, allora denominato Iria.
Testimonianze dell’epoca romana si trovano un po’ ovunque, soprattutto nelle zone di San Damiano, Sgarbazzolo, Cavallerezza, Cerro, Goide, Cadè, Ova e Bovera. In particolare risulta ancora con evidenza la centuriazione nella suddivisione della proprietà agricola, con molte strade campestri che si incrociano ad angolo retto seguendo un asse nord–sud inclinato di 11° 30’ verso nord–est. Parte dei reperti rinvenuti sono conservati nel Museo civico di Castelnuovo, tra questi il cippo funerario di Fadia Esperide, due anfore quasi integre, tombe alla cappuccina, embrici, mattoni sesquipedali, vasetti e frammenti di mosaici.
In seguito alle invasioni barbariche sorge la necessità di concentrarsi in un unico luogo fortificato. La scelta cade sulla zona adiacente l’attuale piazza centrale, che ha il pregio di essere emergente rispetto al territorio circostante e nel contempo vicina allo Scrivia.
Le fortificazioni vennero distrutte nel 401 d.C. Successivamente Alarico, rendendosi conto della posizione strategica di questo borgo, lo ricostruì e lo dotò di nuove fortificazioni.
La nascita di Castelnuovo si potrebbe far risalire al 487 d.C., durante il periodo di dominazione degli Ostrogoti di Teodorico. Infatti il Salice, nei suoi annali, riporta la notizia data da un anonimo cronista, secondo cui “in hoc anno aedificatum fuit castrum novum ad scripiam”.
Secondo padre Carlo Rovaglia, don Mauro Bertetti e Matteo Bandello, il nucleo abitato vero e proprio sorge intorno al 500 dopo Cristo. Tale ipotesi si basa sull’interpretazione a favore di Castelnuovo della lettera di Teodorico (Cassiodoro, Epistole XXVII, lib. I) indirizzata “Universis Gothis et Romanis Derthonae consistentibus”: “Mossi dalla ragione del pubblico bene, della quale sempre e volentieri ci siamo incaricati, ordiniamo che il castello, che è presso di voi, venga fortificato… Perciò con la presente autorità decretiamo che con fermo animo costruiate case nell’anzidetto castello”.
Le guerre fra Greci, Goti e Franchi devastarono le nostre terre, colpite, inoltre, dalla pestilenza del 575.
Il Bandello afferma (Novella XXIII, parte I) che “la nostra patria fu ampliata nel tempo che Liutprando, re Longobardo, fece il corpo di Sant’Agostino condur per mare da l’isola di Sardegna a Genova e da Genova a Pavia” , ossia nel 722.
Il primo documento in cui viene indicato Castelnuovo è un diploma imperiale che cita una località abitata chiamata Castelnuovo . In esso il 5 novembre 979 Ottone II confermò alla chiesa di Tortona tutti i beni e le proprietà ad essa pervenuti per legittima donazione. Tra le località menzionate nel privilegio di Ottone II compare anche Castelnuovo, che viene indicato con la perifrasi: “Castellum quoque quod dicitur novum”. Nell’XI secolo si infittiscono le citazioni di “Castronovo”. All’inizio del 1100 i castelnovesi elessero dei consoli che dovevano affiancare il feudatario nel governo del paese e, come primo atto, chiesero al vescovo-conte di Tortona di poter cambiare il proprio nome da Castelnuovo Tortonese a Castelnuovo di Scrivia, cosa che fu negata. Il contrasto fra i due centri divenne sempre più aspro e, quando Tortona si alleò a Milano, Castelnuovo strinse accordi con Pavia, la quale promise aiuti in caso di attacco.
All’epoca di Federico Barbarossa, Castelnuovo si trovò coinvolto a fondo nelle lotte fra Comuni e Impero, in una posizione di altalena fra la Pavia imperiale e la Tortona aderente alla lega.
L’imperatore cinse d’assedio Tortona il 14 febbraio 1155 e la conquistò, distruggendola completamente, il 19 aprile. Ludovico Costa, letterato castelnovese, riporta la notizia, trovata in una antica “Cronaca di Tortona”, secondo cui un suo compaesano, Gerardo Selvatico, fuggì dalla città assediata per informare il Barbarossa che i tortonesi erano ormai rimasti senz’acqua e che di conseguenza avrebbero resistito ancora per poco; questo personaggio passerà quindi alla storia come traditore.
Nel 1188 i castelnovesi si rifiutarono di sottomettersi a Tortona
Nel 1259 i castelnovesi, ormai considerati cittadini tortonesi, fecero ampliare l’abitato, restaurare le mura e scavare fossati a spese della città dominante; inoltre vennero loro concessi il privilegio di non pagare più i tributi per l’utilizzo dell’acqua dello Scrivia e del Grue e la riduzione di alcuni dazi.
Nel 1268, approfittando dell’aiuto fornito dai pavesi, il paese si ribellò a Tortona, che rispose attaccando e annullando tutte le concessiopni fatte dieci anni prima e scegliendo il nuovo podestà.
La dipendenza di Castelnuovo da Tortona durò fino ai primi anni del xvi secolo, quando la popolazione di Tortona era divisa in Intrinseci, gli abitanti della città, ed Estrinseci, coloro che risiedevano nella campagna. A questi ultimi si allearono Castelnuovo, Pontecurone e Filippone di Langusco, capitano delle milizie di Pavia, e insieme devastarono il territorio tortonese. Si giunse infine ad un compromesso sancito di fronte al Consiglio generale di Milano e vennero eletti, come arbitri fra le parti, i duchi di Milano, Mosca e Guido della Torre.
Il 23 febbraio1305 venne firmato un documento secondo cui:”... gli uomini di Castelnuovo, di Volpedo, di Montegioco, e generalmente di tutti gli altri luoghi, castelli e terre del distretto di Tortona, e che erano soliti ubbidire alla città di Tortona, per lo innanzi ubbidissero a Milano ed alli detti Mosca e Guido della Torre. Fu così proclamata la fine della dipendenza di Castelnuovo da Tortona e la nuova sudditanza ai Torriani di Milano. In quel periodo l’imperatore donò la signoria di Castelnuovo ai Bandello e li autorizzò a porre l’aquila imperiale all’interno dello stemma di famiglia. È probabile che proprio durante il governo dei Torriani e dei Bandello venisse redatta la prima stesura degli Statuti del paese, ratificati nei decenni successivi.
Nel 1311 i Torriani furono cacciati da Milano e il ducato, con tutti i suoi possedimenti, compreso Castelnuovo, passò in mano ai Visconti. I Bandello vennero privati del governo del paese in quanto avevano parteggiato per i Torriani, ai quali, in seguito a un matrimonio, erano legati da vincoli di parentela. Non furono esiliati e mantennero quasi tutte le loro proprietà. Il paese fu guidato, tra il 1311 e il 1321, dalla famiglia Guerra.
Nel 1321 Raimondo di Cordova, nemico dei Visconti, occupò Castelnuovo e lo affidò prima a un governatore militare e poi, nel 1332, al vescovo di Tortona.
Nel 1339 la Bassa Valle Scrivia fu saccheggiata dai soldati di ventura tedeschi.
Nel 1347 Castelnuovo fu riconquistato da Lucchino Visconti e tornò a far parte del Ducato di Milano.
Il 13 marzo del 1362 i 1500 soldati di ventura della “Societas Anglicorum”, guidata dal tedesco Alberto Sterz, occuparono il castello del paese e, con base in una Castelnuovo spopolata, razziarono e commisero stragi in tutti i paesi del Tortonese. L’occupazione di Castelnuovo durò sino a settembre e comportò almeno 900 castelnovesi affogati nei corsi d’acqua o passati a fil di spada. Indicibili le atrocità e le “enormità” commesse ai danni di tutti, specialmente delle donne, come narrò il cronista Pietro Azario. Prima e dopo questa tragica parentesi Castelnuovo fu sotto la potestà di Galeazzo II e poi, dall’8 gennaio 1375, di Gian Galeazzo, di cui sono ancora visibili le insegne negli affreschi scoperti nel 1986 durante il restauro del castello e della torre.
Della storia di Castelnuovo fa parte un personaggio noto come il “conte di Carmagnola”, le cui vicende furono narrate anche da Alessandro Manzoni. Francesco Bussone di Carmagnola era un capitano di ventura al servizio di Facino Cane, celebre condottiero fedele ai Visconti. Alla morte di questo, Filippo Maria Visconti lo nominò generale: egli si dimostrò di grande aiuto nel consolidamento del ducato milanese e si impegnò a porre il suo signore sul trono di Milano. Come ricompensa, con un diploma dell’8 dicembre 1414, il Visconti gli donò uno dei suoi feudi più ambiti e lo nominò conte di Castelnuovo. Negli anni seguenti il legame fra il Visconti e Francesco Bussone si deteriorò e quest’ultimo, nel 1424, si ritirò nel castello del paese dove maturò la decisione di lasciare il suo signore e mettersi al servizio della Repubblica veneta. Filippo Maria gli confiscò il feudo di Castelnuovo e lo dichiarò degradato. Le vicende della vita lo porteranno, il 5 maggio 1432, a subire la decapitazione in piazza San Marco, a Venezia.
Con un atto del 6 aprile 1443 Filippo Maria Visconti concesse ad un altro grande personaggio della storia italiana, al marchese Borso d’Este, il feudo di Castelnuovo e il diritto di imporre dazi e di nominare il podestà.
Successivamente, nel 1447, venne stabilita una convenzione fra il marchese e la comunità castelnovese, secondo cui il paese doveva pagare annualmente duemila ducati d’oro per essere sollevato da dazi e gabelle, ad eccezione di quelle del sale e del gualdo. Fu una decisione assai saggia, visto che sotto i Visconti le tasse aumentavano e tutti gli altri paesi vicini erano costretti a sborsare cifre molto più alte. Un ulteriore privilegio, che rafforzò in paese il partito dei “marchesani” (a favore degli Estensi) contro quello dei “Zentilhomini” (a favore dei Visconti), fu l’esenzione dall’obbligo di alloggiare le truppe di passaggio e di inviare giovani per l’esercito. A segnalare tale privilegio veniva posta sulla torre del castello la bandiera comunale (allora a tre bande orizzontali giallo oro, bianco argento e giallo oro), che ancora oggi viene rinnovata ogni anno il 23 maggio, nel giorno di San Desiderio, patrono del paese. La bandiera reca tuttora la scritta “A peste, fame et bello libera nos Domine” (Liberaci o Signore dalla peste, dalla fame e dalla guerra) e “A fulgure et tempestate libera nos Domine” (Liberaci o Signore dal fulmine e dalla grandine).
Il periodo estense (1447-1471) corrispose ad un periodo molto felice per Castelnuovo. Il borgo era al centro di un’area di produzione e di commercio delle erbe tintorie, che andava da Casteggio ad Alessandria e a Novi. In particolare era noto in tutto il Mediterraneo il “gualdo di Castronovo”, ovvero la produzione di pani di foglie di “isatis tinctoria”, utilizzati per tingere di blu le stoffe
Oltre al gualdo si producevano altre erbe tintorie quali la Robbia (per il rosso) e lo Zafferano (per il giallo), vino, spade, padelle e padellini – e proprio per questi ultimi ancora adesso i castelnovesi sono soprannominati nel circondario con l’appellativo di “padlé”.
Borso d’Este potenziò il mercato del giovedì, le fiere di San Giuseppe, di San Desiderio e della Natività (8 settembre).
La spaccatura del paese fra “marchesani” e “zentilhomini” continuò nelle epoche successive con la rivalità fra chi parteggiava per i francesi o per gli Sforza, per i francesi o per gli spagnoli, fra “popolani” e “nobili”, fra “separati” e “reggenti”, tanto che il borgo, sino all’occupazione piemontese del 1738, ebbe due podestà, due consigli comunali e due amministrazioni separate.
È vero che c’era rivalità fra le famiglie Bandello, Lazara, Torre, Ricci da una parte e Grassi, Acerbi, Guerra, Torti, Bassi dall’altra; ma il motivo reale, che spaccava anche le famiglie con lo stesso cognome, era uno solo: chi doveva pagare le tasse e chi esserne esentato.
Dopo la morte di Borso d’Este, il marchesato di Castelnuovo passò inizialmente a Ercole I e poi, con un diploma del 4 maggio 1472, il duca di Milano lo donò al suo secondogenito Ermete Maria.
Il 9 gennaio 1474 Castelnuovo venne infeudato a Roberto Sanseverino.
Fallita la congiura contro Gian Galeazzo, alla quale partecipò lo stesso Sanseverino, il feudo ritornò per un breve periodo a Ercole d’Este (10 aprile 1478).
Nel settembre 1479 il Sanseverino potè riappropriarsi del paese, ma un nuovo contrasto con gli Sforza lo obbligò a subire un duro assedio e poi a fuggire da Castelnuovo nel 1482.
Due anni dopo nacque da Gian Francesco Bandello, gestore della tratta del gualdo, il più illustre dei castelnovesi, il novelliere Matteo Maria Bandello, che più volte nelle sue storie ricordò il paese natale.
All’inizio del XVI secolo il ducato di Milano venne occupato dai francesi e gli Sforza furono costretti a fuggire; il feudo di Castelnuovo fu confiscato al marchese Sanseverino e poi concesso a Gian Giacomo Trivulzio, comandante delle truppe francesi. Intorno al 1512 il Trivulzio fece esiliare molte famiglie castelnovesi amiche degli Sforza, tra le quali i Grassi e i Bandello.
Galeazzo Sanseverino, riappacificatosi con i francesi, riuscì a riottenere Castelnuovo, ma rimase al potere ben poco perché morì combattendo contro gli spagnoli nella battaglia di Pavia del 1525.
L’imperatore Carlo V, proseguendo nella tradizione di donare al comandante in capo dell’esercito vincitore il ricco feudo di Castelnuovo, ricompensò il marchese D’Avalos, vincitore a Pavia, nominandolo feudatario di Castelnuovo. Alla sua morte gli successe il cugino Alfonso D’Avalos del Vasto che ne prese possesso facendo dipingere nel castello, al centro della sala degli affreschi, il suo stemma che troneggia ancora oggi al di sopra della porticina d’ingresso.
Nel 1538 il marchese di Castelnuovo divenne anche governatore di Milano e si rivelò un uomo sanguinario che si macchiò di molti delitti, fra cui quello di Cesare Fregoso, generale del re di Francia, amico e protettore di Matteo Bandello. Quest’ultimo seguì la vedova di Fregoso che si rifugiò in Francia, presso Francesco I. Qui Matteo venne nominato vescovo di Agen e si ritirò nel castello di Bazens, presso Port Sainte Marie, ai bordi della Garonna, dove riordinò le sue novelle e dove probabilmente venne sepolto nel 1561.
Alla sua morte il marchese Alfonso lasciò il paese nelle mani della sua vedova, Maria d’Aragona, verso la quale i castelnovesi rinnovarono il giuramento di fedeltà. Il primogenito di Alfonso, Ferdinando D’Avalos, non appena fu maggiorenne, il 20 giugno 1568, vendette il feudo di Castelnuovo a Gian Battista Marini, di origini genovesi, ma di cittadinanza milanese. La cifra pagata fu di 90.000 lire.
I Marini si erano arricchiti con il commercio del gualdo e ciò spiega la volontà di insediarsi nel Comune che primeggiava, sia quantitativamente che qualitativamente, nella produzione delle cocagne.
Il marchese Marini prestò giuramento di fedeltà a Filippo II re di Spagna e, nel 1570, prese possesso della signoria che rimase per lungo tempo sotto tale famiglia.
Proprio durante il governo di Gian Battista Marini i tortonesi si lamentarono perché Castelnuovo aveva assunto la denominazione “di Scrivia” anziché “di Tortona”, come era sempre stato imposto in precedenza per affermare l’importanza e la superiorità della città. La controversia fu molto lunga, ma ormai il nuovo nome del paese era un dato acquisito.
Nel 1588 i Marini, in base alla sentenza secondo cui il castello, le scuderie, le prigioni e il palazzo delle milizie erano di proprietà della municipalità di Castelnuovo, lasciarono il castello e acquistarono il convento delle monache dell’Annunziata. In quest’area venne costruito, su progetto dell’architetto e pittore Pellegrino Tibaldi, detto il Pellegrini, il nuovo palazzo Marini, oggi noto come palazzo Centurione.
In questo edificio veniva spesso ospitato il genero del Marini, Ambrogio Spinola, generale delle truppe spagnole, conquistatore delle Fiandre e governatore di Milano. Ambrogio Spinola, eternato poi dal Velàsquez nel famoso dipinto “La resa di Breda”, morì il 25 settembre 1630 nel palazzo Marini, come attesta il registro dei morti dell’Archivio parrocchiale, e pare fosse assistito da colui che poi diverrà il famoso cardinale Mazzarino.
I Marini, intorno al 1620, furono promotori, unitamente all’avvocato Giovanni Ferrari, della edificazione dello stupendo complesso di Sant’Ignazio, con grandiosa chiesa e ampio convento, messo a disposizione dei Gesuiti, unitamente a una biblioteca di enorme pregio e a opere d’arte quattrocentesche.
Al marchese Gian Battista successero i figli, che l’11 aprile 1640 giurarono fedeltà al re di Spagna Filippo IV. Il governo di Castelnuovo passò in mano al primogenito Filippo e al fratello Gerolamo.
Nel periodo della dominazione spagnola Castelnuovo era considerato zona di confine in quanto geograficamente faceva parte del ducato di Milano, ma, essendo molto vicino al Piemonte, che era in mano a Maria Cristina, sorella del re di Francia, risentiva degli influssi del governo francese. Infatti alla morte del cardinale Richelieu, nel 1642, i francesi occuparono il nostro territorio e saccheggiarono il paese. Seguirono anni in cui Castelnuovo fu soggetto a un continuo scambio di potere fra spagnoli e francesi, al termine dei quali il paese tornò agli spagnoli e quindi a far parte del ducato di Milano.
Nel 1704 e nel 1706 truppe austriache si stanziarono a Castelnuovo, requisendo viveri, bestiame e fieno, procurando così al paese gravi danni economici.
Nel 1710 terminò la guerra di Successione spagnola e Filippo V venne riconosciuto re; alla corona di Spagna furono tolti i possedimenti in Italia, e il Milanese, di cui Castelnuovo faceva parte, passò in mano agli Asburgo d’Austria. Tale legame non durò a lungo: i rapporti fra gli Asburgo e i Savoia si deteriorarono e questi ultimi, nel 1733, si allearono ai francesi e agli spagnoli e insieme mossero guerra all’Austria. L’esercito francese si unì a quello sardo-piemontese guidato da Carlo Emanuele III, il quale riuscì ad entrare a Milano e a ottenere il titolo di duca di Lombardia.
Nel 1734 l’esercito franco-piemontese assediò e prese Tortona, difesa dagli austriaci.
Con l’armistizio del 1735 e la pace di Vienna del 1738 il ducato di Milano rimase all’Austria, mentre i Savoia dovettero accontentarsi di Novara e Tortona, insieme ai territori posti sulla riva destra del Po; di conseguenza Castelnuovo passò al Piemonte.
Nel 1742 gli spagnoli sbarcarono in Liguria e puntarono sulla Savoia; i piemontesi stipularono subito un accordo con l’Austria, che li avrebbe aiutati a sbarrare la strada agli eserciti spagnoli e francesi, ma, nonostante ciò, ben presto gli spagnoli riuscirono ad occupare la Savoia e a puntare su Milano. Gli scontri si verificarono nelle zone del Tortonese e, nel 1745, Castelnuovo, occupato da soldati piemontesi, venne assediato dalle truppe spagnole. Gli abitanti si unirono ai soldati nella difesa del borgo e combatterono strenuamente, ma si trattava di una lotta impari e furono costretti alla resa.
Nel 1748 fu suggellata la pace di Aquisgrana in base alla quale il re sabaudo entrava in possesso di molti territori, fra i quali il Tortonese e Castelnuovo. A lungo gli austriaci protestarono per l’occupazione piemontese di Castelnuovo, poiché consideravano il nostro paese, unitamente a Casei e Sale, non facente parte del Tortonese.
Castelnuovo in tutti questi anni fu sempre sottoposto al governo dei Marini. Giovanna, una delle figlie di Gian Battista, in mancanza di eredi maschi, ottenne dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria il possesso di tale feudo. La marchesa Giovanna acquisì anche il titolo di principessa grazie alle nozze col principe Giovanni Battista Centurione Scotto, membro di una antica famiglia genovese.
Il loro figlio Carlo, alla morte della madre Giovanna nel 1778, ricevette l’investitura del feudo di Castelnuovo dal re di Sardegna. La carica nobiliare continuò a tramandarsi di padre in figlio fino al 1927 quando, dilapidati tutti gli altri beni e venduto il palazzo al Comune, la famiglia si trasferì a Santa Margherita.
In seguito alla Rivoluzione francese tutta l’Europa fu travolta da una serie di cambiamenti; per quanto riguarda il nostro territorio, nel 1796 i francesi, guidati da Napoleone, invasero il Piemonte e cacciarono i Savoia. Molti furono i castelnovesi “giacobini”, capeggiati da Andrea Costa, ma forte fu anche la resistenza antifrancese capeggiata dal “Brusco” che portò all’abbattimento dell’albero della libertà nella piazza centrale, allora denominata di San Pietro, e soprattutto a una lunga serie di atti di violenza.
Il 17 giugno 1828 venne deciso di demolire le mura, lunghe 3.600 metri, che per la loro solidità avevano fatto di Castelnuovo una postazione militare di notevole importanza, attirando per secoli compagnie di ventura, eserciti francesi, spagnoli e austriaci, interessati anche alla posizione strategica dell’abitato, situato proprio nel punto d’incontro fra la via del sale (dal mar Ligure lungo lo Scrivia) e la valle del Po.
Nel giugno del 1800 Napoleone passò per Castelnuovo durante il trasferimento del suo quartiere generale da Voghera a San Giuliano, dove si preparò per la famosa battaglia di Marengo. Al termine dello scontro molti feriti francesi vennero portati nel collegio dei gesuiti e affidati alle cure dei castelnovesi. In cambio Napoleone diede il titolo di città a Castelnuovo, denominata “ville de Chateau neuf”, e a risarcimento delle spese sostenute donò alla comunità l’ex collegio con l’annessa chiesa di Sant’Ignazio, proprietà che, dopo molte diatribe, venne confermata nel 1837 da Carlo Alberto.
La decisione scaturì da una sentenza che imponeva alla comunità castelnovese di pagare i debiti contratti con il principe Centurione (10.328,08 lire nuove di Piemonte); poiché il denaro della cassa comunale non era sufficiente, nel 1828 si decise appunto di vendere i mattoni delle mura come materiale da costruzione.
A lavoro quasi compiuto si scoprì che attraverso un sistema di tangenti l’appalto era stato vinto al valore di “metà della metà” del prezzo effettivo. I lavori vennero sospesi e così si salvò l’ultima delle cinque porte (Tavernelle, Zibide, Gualdonazzo, Molina e Strad’Alciano) ancora in piedi, ossia porta di Strad’Alciano o del Po (ora arco di via Roma).
Dal 1848 al 1866, periodo durante il quale si susseguirono le guerre di indipendenza, vari eserciti transitarono di continuo in paese, tanto che vennero costruiti ponti in legno sullo Scrivia e sul Grue, sostituiti poi da ponti in muratura. Molti castelnovesi parteciparono a tali guerre e fra questi viene ricordato il giovane Francesco Bersani che, a partire dalla impresa dei Mille, fu sempre a fianco di Garibaldi e morì in conseguenza di una grave ferita riportata a Monte Suello mentre combatteva fra i “Cacciatori delle Alpi” nell’estate del 1866.
Il suo sacrificio ricorda quello di Giuseppe Pacchiarotti, capitano dell’esercito sabaudo, fra i protagonisti dei moti del 1821, condannato a morte dai Savoia e perito in combattimento nell’anno successivo a fianco dei costituzionalisti spagnoli.
Un altro castelnovese fu vittima dei moti del 1821 a cui aveva dichiarato le proprie simpatie: Ludovico Costa. Trasferitosi a Torino, ove era stimato per il suo dinamismo e per la profonda cultura, divenne Segretario di Stato. I Savoia, caduto Napoleone, gli affidarono l’incarico di ricuperare i beni artistici trafugati dai francesi. Costa assolse benissimo a questo compito tanto che altri Stati italiani si rivolsero a lui. L’adesione ai moti gli costò l’allontanamento da ogni carica e l’isolamento totale, tanto che morì, nel 1835, in profonda miseria fra le braccia di Cottolengo di cui era stato protettore quando ne aveva il potere.
Negli anni successivi all’unità d’Italia, Castelnuovo, che era rimasta esclusa per propria scelta dalle nuove linee ferroviarie e che aveva perso ormai da tempo la qualifica di “paese della cuccagna” avendo ridotto a poche pertiche i terreni coltivati a gualdo, cominciò a riprendersi con alcune consistenti opere pubbliche, come il ponte in muratura sullo Scrivia, l’ospedale, le filande. L’agricoltura, però, pur favorita da produzioni elevatissime, non riuscì a dare sostentamento e lavoro al gran numero di braccianti. Cominciò così il periodo di forti emigrazioni che portarono, ad esempio, fra il 1882 e il 1889 Castelnuovo ad essere il paese piemontese con la maggior percentuale di emigrati verso l’Argentina.
L’economia era basata sulle rimesse degli emigranti e sui proventi della bachicoltura e della viticoltura. Cominciarono ad esserci i primi ortolani con produzioni pregiate e si avviò il primo tomaificio.
La vita politica vide scontri durissimi fra i benestanti e gli agrari collegati al principe Centurione e la nuova borghesia di banchieri, industriali e commercianti di tendenza liberale e moderatamente riformista.
Il secolo XIX si concluse con due opere pubbliche rilevanti:
- il restauro della facciata della chiesa parrocchiale, alla quale venne imposto uno stile neoromanico di maniera che però rispettò il portale di magister Albertus
- la costruzione della linea ferroviaria Castelnuovo-Tortona-Monleale caratterizzata da una locomotiva a vapore denominata, in onore della madrina, “principessa Camilla” Groppallo Centurione.
Pagato un forte tributo di vittime alla Grande Guerra (112 caduti) e alla seconda guerra mondiale (59 caduti), alle quali occorre aggiungere i 13 giovani uccisi nelle guerre di Indipendenza, Castelnuovo fu sede del comando di una brigata partigiana particolarmente attiva durante la Resistenza, diretta dal castelnovese Agostino Arona.
Nel dopoguerra il paese ha ripreso vigore puntando su nuove industrie, sull’agricoltura, sul commercio e si è rivitalizzato con una forte ondata migratoria di 300 veneti (fra il 1951 e il 1970), 1.500 meridionali (negli anni ’60 e ’70) e 300 immigrati da altre regioni.